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  • La sua visione.

    Una terra desolata, ove, simili a fantasmi maledetti, appaiono radici vagamente antropoforme, teste di regine ed elmi corrosi: è la visione alla quale Giangrandi è arrivato, dopo avere dipinto i paesaggi della sua regione e avere poi studiato da vicino le conquiste e gli esperimenti dell'arte francese a lui più congeniali. Ci troviamo così davanti a tre capitoli di una vicenda artistica vissuta con grande impegno, e con la decisa volontà di approfondire i diversi motivi e aspetti per poi, alla fine, ricomporre « l'unicum » più vero e più nitido..........

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  • L' Anfora - 1970

    anfora
  • La sua visione.

    .......perciò è esemplare e tipica di questo nostro tempo, che ha visto, e vede, molti artisti procedere per periodi e per assimilazioni, per scoperte e ritorni con il risultato, nei casi migliori, di una presa di coscienza del proprio mondo, osservato dai vari punti di vista e arricchito da nuovi elementi culturali. Certo, si potrebbe parlare di instabilità e di incertezza e anche, nei casi peggiori, di opportunismo: ma sono questi compromessi, destinati a disfarsi miseramente, creando stati di confusione, di sconfitta non soltanto personale.
    Ma non è così certamente per Giangrandi, che ha percorso con chiarezza e certezza il proprio cammino, del quale in questa grande mostra viene documentata l'inquietudine che l'ha portato dall'impressionismo al surrealismo, da un mondo agreste ed elegiaco a quella «regione sconosciuta» ove tutto è possibile, e il mistero e l'allucinazione sono elementi costanti e altamente suggestivi. Inquietudine interiore di cui la poesia è il migliore frutto; con l'ansia di dire una propria parola definitiva portando la pittura al grado di «cosa mentale» cioè a una fruttuosa e dinamica libertà.
    Se l'uomo è anche frutto di un ambiente, il pittore lo è delle occasioni che il destino, il temperamento e la cultura gli offrono: utile è quindi accennare brevemente che Giangrandi, dopo avere avuto come maestro Luigi Varoli di Cotignola, nel primo dopoguerra si trasferì a Piangipane, nell'agro ravennate, e lì rimase dieci anni dipingendo paesaggi e studiando colore e luce.
    Fu un periodo fertile, che portò l'artista a una prima impressionistica definizione; ma a lungo andare il paesaggio si consumò, e anche lo stimolo e la meraviglia, sicché Giangrandi tentò la cosiddetta «grande avventura parigina» già vissuta da tanti nostri anche giovani maestri.

    A Parigi, molte cose cambiarono per Giangrandi: i motivi e richiami furono subito diversi, e così il colore e così la luce. I suoi quadri piacquero, e per fortuna anche ai collezionisti: uno dei quali, Robert H. Cheynon, ne acquistò sei e li fece vedere nientemeno che a Bernard Berenson, il quale dichiarò che« Giangrandi possiede un vero talento coloristico e una grande fertilità d'invenzione ». Giudizio questo che avrebbe spinto molti altri a non muoversi più per insistere in eterno sul genere di pittura lodata da sì grande critico. Invece Giangrandi non si illuse, e non riposò. Si trasferì prima nei Paesi Bassi, e poi in Inghilterra, in Spagna, in America e in Russia, ovunque studiando e cercando nuova luce e nuova forza; con interessanti risultati, come si può constatare vedendo i quadri di quei periodi, ove tutto appare riportato in discussione anche mediante deformazioni spesso originali e tonalità molto diverse da quelle di un tempo: eppur sempre legate, nell'intimo, alle prime e profonde impressioni provate nella sua terra nativa; come è naturale e giusto.

    Nel 1966 una mostra di Giangrandi fu visitata a Ravenna da Giuseppe Fiocco, il quale, nell'introduzione alla monografia dell'artista, racconta che fu una mostra locale ad attrarmi con la voce di alcune pitture che sembravano fatte apposta per sedurre l'occhio e il cuore di uno studioso. L'occhio con la nettezza della pennellata, quasi adamantina, il cuore con la melanconia dei richiami della antichità, innumeri, che la prossima Spina sta già restituendo in copia incredibile. Una visione fra concreto e astratto, torturata eppure semplice, moderna e antica insieme.
    Chi era l'artista in possesso di questa consumata maestria pittorica, tale da farci pensare, forsanche per lontana parentela paesana, alla «pittura metafisica» della vicina Ferrara, dove l'eroico si era trasformato in rimpianto e in ammonimento? L'incontro fu così invitante che amai ripeterlo e completarlo con quello di utili conoscenze e con quello dell'artista stesso e del suo cammino insospettato, che fu lungo ed esemplare, ma anche faticoso e accanito. Mi parve proprio di vedere in lui il paradigma di un artista sincero, nonostante le sue remore e la molteplicità delle sue scelte.

    Ecco dunque indicati, e così autorevolmente, alcuni punti di forza di Gaetano Giangrandi: mestiere perfetto, arricchimento interiore con i viaggi e lo studio diretto dei capolavori, ed infine umile attenzione a quei «richiami dell'antichità» che lo hanno portato, crediamo, a immaginare e a definire il suo terzo periodo e conseguentemente a mutare anche il modo di pittura, che da ricca e pastosa è diventata di una sbalorditiva precisione. Così la realtà (e si vedano i nudi femminili, le conchiglie e gli elmi con sullo sfondo il mare, oppur posati su un giallastro, triste deserto) viene ripresa e definita quasi medianicamente, e quindi con il rifiuto di ogni soluzione di tipo fotografico, di riproduzione passiva, in una parola della freddezza imitativa: quale è facile vedere in certi esponenti della «nuova realtà», i quali finiscono per dipingere personaggi ed oggetti congelati, perché non sentiti, e quindi non reinventati. Si può inoltre rilevare come Giangrandi bruci e torturi i suoi personaggi o simboli, quasi niellandone l'aspetto esterno, la pelle, grazie ad una forza spesso crudele che li scarnifica, o, secondo i casi, li ferma in una luce fredda, che pare voglia ibernarli per l'eternità; lasciandoli poi nel loro deserto come detriti e reliquie di un mondo in cui soltanto la bellezza della creatura è rimasta: e si veda in proposito il grande quadro intitolato «L'ultimo giorno», in cui due corpi femminili intatti giacciono sulle rovine di una città triturata da chi sa quale cataclisma o vendetta. Un quadro che richiama, specialmente per i colori da arazzo, l'altro intitolato «Autunno», e il più quieto e prezioso «Malinconia» (') con quelle foglie viola e i vasi bianchi che circondano il mesto riso di un calco raffigurante una testa femminile. Queste opere sono di periodi diversi, ma mi sembrano indicativi dell'intenzione di Giangrandi di rappresentare quel suo mondo folgorato da chi sa quale demone.

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    • Giangrandi Gaetano
  • Gaetano Giangrandi

    Detto Gianni

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    La sua vita

    • Gaetano Giangrandi è nato a Bertinoro (Forli) il 6-10-1928 ed è vissuto, fino all'età di 16 anni, a Cotignola dove fu alunno prediletto di Luigi Varoli. Nell'immediato dopoguerra si trasferisce al Castellaccio, in località Piangipane, nell'agro ravennate, per essere a piu immediato contatto con la natura e per fare ricerche sul colore e sulla luce. Ma, dopo un decennio di tenace lavoro, di meditazioni e di sacrifici, spinto dalla necessità di approfondire i propri studi e di allargare il campo delle proprie esperienze e conoscenze, si reca a Parigi. Dopo Parigi soggiorna nei Paesi Bassi, in Inghilterra, in Spagna e visita altri paesi d'Europa. Alcuni anni fa è stato anche in Russia e a New York. Giangrandi ha esposto in moltissime mostre personali e collettive in Italia e all'estero. Sue opere figurano in collezioni private dei seguenti Stati: Germania, Olanda, Francia, Austria, Svizzera, Norvegia, Jugoslavia, Inghilterra, U.R.S.S. (Leningrado), U.S.A., Italia e Città del Vaticano. Giuseppe Fiocco gli ha dedicato una ampia monografia (Ed. Galleria d'Arte La Bottega, Ravenna, 1968).

  • Gaetano Giangrandi

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    Giangrandi è scomparso il 29 marzo 2017 all'età di 88 anni.

Opere

  • Periodo Impressionista

  • Opere

  • Periodo Surrealista

  • Opere

  • Periodo Parigino

  • Opere

  • Opera Grafica

  • Critiche

    • GIUSEPPE FIOCCO

      E' una realtà che diviene mito; colto in quegli scheletri arborei che il logorio delle acque scava lentamente con il suo lungo fluire; una realtà che si fa sogno ed incubo insieme, rievocante mostri, scheletri e rovine. Talvolta si apparenta ai morioni barbarici dei soldati o ai vasi famosi che ci rende l'antica Spina; e tutto involge la rena, da cui emerge, contrastando talvolta con qualche cespo virente, come per indicare i poli fatali della vita e della morte. Sogno di un mondo senza tempo, che il pittore modula con le dolcezze cromatiche delle conchiglie marine. Una tematica che ha offerto e offrirà all'artista soggetti affascinanti, senza limite; i quali rappresenteranno come già rappresentano, uno dei più felici raggiungimenti della torturata arte nostrana.

    • ALBERICO SALA

      Gaetano Giangrandi, un personaggio impetuoso, rigoglioso di doti native, che ha saggiato in varie direzioni prima di acquetarsi in visioni drammatiche di assoluta limpidezza, di solida costruzione

      FRANCESCO SAPORI

      La sua fantasia esalta le connessioni di figure e di volumi che partono dalla realtà e raggiungono il sogno. C'è in lui una sorta di fantasia che sembra aggredita, inseguita da magnetici impulsi. Gli basta di fissare dei punti essenziali, dove il ricordo e l'ispirazione si alimentano a vicenda e producono effetti impensati.

    • MICHELE VINCERI

      L'oggetto acquista un marcato rilievo dalla indifferenza dello sfondo illimite, ma per contrasto si accentuano in esso la forza e la vibrazione del colore e la caratterizzazione del segno. Si attua così un momento lirico intenso per immediatezza di emozione e per echi di memoria, esteso sino ai confini del sogno e dell'inconscio, in cui passato e futuro coincidono nell'inquietudine non placata di una perenne domanda.

    Eventi

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